14 Ott V13 / Emmanuel Carrère
Il processo sugli attentanti di Parigi del 13 novembre del 2015
V13 di Emmanuel Carrère
Ho iniziato la lettura di questo racconto con curiosità, ma anche con timore. Per diverse ragioni, gli attentati di Parigi del 13 novembre del 2015 mi hanno davvero colpita. Volevo approfondire e capire. Il racconto di Carrère ha superato le mie aspettative.
C’è il dolore, tanto, immenso, di chi ha perso una figlia, un fratello, la moglie che erano usciti per andare a festeggiare un compleanno o rilassarsi con un aperitivo dopo una settimana di lavoro. Migliaia di testimonianze, racconti da parte dei testimoni, sopravvissuti o familiari delle vittime.
E poi gli imputati: solo Salah Abdeslam faceva parte del commando ed è ancora vivo per non essersi fatto esplodere. Gli altri sono fiancheggiatori più o meno coinvolti direttamente.
Impossibile capire, impossibile giustificare. Ma bisogna conoscere.
Soprattutto, da cronista di giudiziaria, ho apprezzato l’aspetto della giustizia che può essere “giusta” solo con un processo. Un luogo, un’aula realizzata apposta, dove persone dalle storie completamente diverse hanno convissuto per un anno. Per un rito collettivo che ha portato, forse, sollievo alle vittime, ma sicuramente ha permesso alla comunità di mettere un punto e ripartire.
E poi c’è un’altra riflessione che più delle altre emerge: la non voglia di vendetta, la richiesta di giustizia, di un trattamento equo nei confronti degli imputati da parte di chi si è visto portare via la serenità, la spensieratezza, gli affetti più cari. La reazione della maggior parte delle persone coinvolte è stata questa. Un atteggiamento di facciata? Una suggestione che ha via via condizionato tutti? Non lo so. Mi piace pensare che questa sia l’unica risposta possibile all’orrore, all’ignoranza, al fanatismo, all’odio.
Da leggere su questo tema anche “Non avrete il mio odio” di Antoine Leiris
La sinossi
Scandito in tre parti – «Le vittime», «Gli imputati», «La corte» –, V13 raccoglie, rielaborati e accresciuti, gli articoli (apparsi a cadenza settimanale sui principali quotidiani europei) in cui Emmanuel Carrère ha riferito le udienze del processo ai complici e all’unico sopravvissuto fra gli autori degli attentati terroristici avvenuti a Parigi il 13 novembre 2015 – attentati che, tra il Bataclan, lo Stade de France e i bistrot presi di mira, hanno causato centotrenta morti e oltre trecentocinquanta feriti.
Ogni mattina, per quasi dieci mesi, Carrère si è seduto nell’enorme «scatola di legno bianco» fatta costruire appositamente e ha ascoltato il resoconto di quelle «esperienze estreme di morte e di vita» – le testimonianze atroci di chi ha perduto una persona cara o è scampato alla carneficina strisciando in mezzo ai cadaveri, i silenzi e i balbettii degli imputati, le parole dei magistrati e degli avvocati –, e lo ha raccontato, come solo lui sa fare, senza mai scivolare nell’enfasi o nel patetismo, e riuscendo a cogliere non solo l’umanità degli uni e degli altri (sconvolgente, ammirevole o abietta che fosse), ma anche, talvolta, la quasi insostenibile ironia dei discorsi e delle situazioni.
Da questo viaggio al termine dell’orrore e della pietà, da questo groviglio di ferocia, di fanatismo, di follia e di sofferenza, Carrère sa, fin dal primo giorno, che uscirà cambiato – così come uscirà cambiato, dalla lettura del suo libro, ciascuno di noi.
Guarda l’intervista a Emmanuel Carrère
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