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Cose che non si raccontano / Antonella Lattanzi

"Una donna sarà comunque sola a subire tutto, anche fisicamente"

Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi. Ho aspettato un po’ di tempo prima di scrivere questo post, perché sentivo il bisogno di far sedimentare i pensieri. “Cose che non si raccontano” non è un libro di quelli che si dimenticano, perché tocca corde profonde e lo fa in un modo così dolce e spietato.

Premetto che il tema della maternità e della ricerca di un figlio non sono tra quelli che mi interessano particolarmente, anzi. E non ho mai vissuto nulla sulla mia pelle di ciò che Antonella Lattanzi racconta. Eppure la sua storia è l’emblema di tutte quelle cose che, è vero, non si raccontano, ma con le quali ogni donna deve fare i conti. Sulle quali ogni donna viene pesata, giudicata, in primo luogo spesso da se stessa. Il senso di colpa se una i figli li vuole, ma ha paura di perdere il proprio lavoro. Il desiderio di essere madre ma anche di avere successo. L’incapacità dell’uomo di capire. Il senso di colpa se invece una no, i figli non li vuole.

Il corpo della donna, che diventa nido, oppure nemico. Alla mercè dei giudizi, dei pensieri, delle parole spesso spietate di medici, infermieri, altre donne, uomini. L’amore più grande e il dolore più grande che l’autrice non ha mai confessato a nessuno o quasi. Cose che non si raccontano ma che è ora di iniziare a raccontare. E quindi grazie ad Antonella Lattanzi per il coraggio di affidare al mondo la sua storia, fatta di sangue, lacrime e spesso solitudine. Perché non ha avuto paura di nominare il sangue, la paura, il dolore, il rancore verso le donne che sfoggiano fiere la propria maternità, la violenza ostetrica, la condanna silenziosa. Perché è stata spietata come una scrittrice deve essere con i suoi personaggi, ma ha tracciato una strada.

La trama

Ci sono cose che non si raccontano perché le parole sono scogli nel mare. Ci sono cose che non si raccontano per vergogna, rabbia, troppo dolore, e perché se non le racconti, in fondo puoi sempre credere che non siano successe. Antonella e Andrea vogliono un figlio: adesso lo vogliono proprio, lo vogliono assolutamente. Ma è come se non ci fosse niente di semplice, nel desiderio più naturale del mondo: tutto ciò che può andare storto andrà storto, anche l’inimmaginabile.

Non è mai il momento giusto per fare un figlio. Prima vogliamo vivere, viaggiare, lavorare. Antonella vuole diventare una scrittrice: la sua è un’ambizione assoluta, senza scampo. Per questo a vent’anni, per due volte, interrompe volontariamente la gravidanza. Quando anni dopo si sente invece pronta, con un compagno a fianco, è il suo fisico a non esserlo. E così inizia l’iter brutale dell’ostinazione, dell’ossessione, della medicalizzazione.

Certi supplizi, le aspirazioni inconfessate, la felicità effimera e spavalda, la sofferenza e la collera. Si direbbe una storia già scritta, ma qui non c’è nulla di consueto: è come raccontare da dentro una valanga, con la capacità incredibile, rotolando, di guardarsi e non crederci, e sfidarsi, condannarsi, sorridersi per farsi coraggio. In un crescendo di indicibile potenza narrativa, Antonella Lattanzi descrive (sulla sua pelle) la forza inesorabile di un desiderio che non si ferma davanti a niente, ma anche i sensi di colpa, l’insensibilità di alcuni medici, l’amicizia che sa sostenere i silenzi e le confidenze più atroci, il rapporto di coppia sempre sul punto di andare in frantumi, la rabbia ferocissima verso il mondo (e le donne incinte). Tenendo il lettore stretto accanto a sé, incollato alla pagina, con un uso magistrale del montaggio, capace di creare una suspense da thriller.

La cosa strabiliante è che pur raccontando una storia eccezionale, e cruda, questo romanzo riesce in realtà a parlare in modo vero, e profondamente attuale, di tutte le donne – madri e non madri – che in un punto diverso della loro vita si sono chieste: desidero un figlio? qual è il momento giusto? dovrò rinunciare a me stessa, alle mie ambizioni? e perché tutte restano incinte e io no? «Ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose, io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle, quelle cose. Io voglio che non siano mai esistite. E se non le dico non esistono».

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