12 Set Io non mi chiamo Miriam / Majgull Axelsson
Si può vivere per settant'anni la vita di un'altra persona?
RECENSIONE IO NON MI CHIAMO MIRIAM DI MAJGULL AXELSSON. Si può vivere per ben settanta anni la vita di un’altra donna? E’ quello che accade alla protagonista di questo romanzo svedese. A tratti delicato e lirico, a tratti come un pugno in faccia: un libro “tosto”, nel quale la giornalista Axelsson affronta con coraggio temi cruciali e difficili, muovendosi con abilità in un campo minato.
La mattina del suo ottantacinquesimo compleanno, una donna si sveglia quasi schiacciata dal peso dei ricordi e dei segreti tenuti sopiti per una vita. E sbotta di fronte ai familiari che la festeggiano: “Io non mi chiamo Miriam“.
Miriam è infatti il nome della ragazza ebrea morta alla quale la protagonista del libro ha rubato la divisa nel trasferimento dal campo di sterminio di Auschwitz a quello di Ravensbruck. Da allora decide di chiamarsi Miriam e di essere una giovane ebrea di buona famiglia.
Un segreto per nascondere a tutti le sue vere origini: nonostante abbia solo 15 anni, la ragazza porta su di sé il peso di avere origini rom. Una “colpa” che per lei e il suo fratellino di pochi anni ha significato non solo la deportazione, ma anche il disprezzo e l’isolamento dagli altri detenuti.
Essere rom vuol dire essere ultimi tra gli ultimi, anche in un campo di sterminio. Miriam decide di non rivelare mai a nessuno la verità, nemmeno dopo la liberazione e l’accoglienza in Svezia. Ben presto, infatti, si rende conto che, se dopo la guerra l’antisemitismo viene bandito, i rom sono ancora oggetto di odio e di persecuzione.
Miriam capisce che anche chi le ha aperto le porte della propria casa, l’ha accolta e le ha relegato una nuova vita, se conoscesse la verità sulle sue origini, non esiterebbe a cacciarla. Così continua a mentire.
Argomento del romanzo non è soltanto la Shoah. Fondamentale è il tema della verità e della menzogna, dei segreti che ciascuno si porta dentro e che non può, o non vuole, rivelare.
Nella postfazione Bjorn Larsson sottolinea come questo sia uno dei pochi romanzi ambientato in un campo di sterminio oggetto di fantasia, non un racconto di sopravvissuti.
Axelsson rompe così una sorta di tabù letterario e lo fa con rigorosa ricostruzione storica, ma anche con una sensibilità che permette al lettore di immedesimarsi in Miriam e nelle altre donne di Ravensbruck.
E’ anche un romanzo dai forti contrasti: tra i luoghi idilliaci in cui vive Miriam e l’orrore di Auschwitz e dei campi di sterminio, tra la solidarietà e la lotta per la sopravvivenza, tra l’amore di un marito e il suo non voler sapere la verità sulla persona che condivide con lui la vita.
Lettura “tosta“, di quelle che comunque arricchiscono e lasciano un’impronta.
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